“Questo è il compito primario del Sinodo: ricentrare il nostro sguardo su Dio, per essere una Chiesa che guarda con misericordia l’umanità”. Nell’omelia della Messa di apertura del Sinodo dei vescovi sulla sinodalità, davanti a 25mila persone, tra cui i 365 padri e madri sinodali, Papa Francesco ha tracciato il suo ritratto del popolo di Dio che cammina nella storia: “Una Chiesa unita e fraterna, o almeno che cerca di essere unita e fraterna, che ascolta e dialoga; una Chiesa che benedice e incoraggia, che aiuta chi cerca il Signore, che scuote beneficamente gli indifferenti, che avvia percorsi per iniziare le persone alla bellezza della fede.
Una Chiesa che ha Dio al centro e che, perciò, non si divide all’interno e non è mai aspra all’esterno.
Una Chiesa che rischia con Gesù. Così Gesù vuole la Chiesa, così vuole la sua sposa”.
“Non ci serve uno sguardo immanente, fatto di strategie umane, calcoli politici o battaglie ideologiche”,
ha esordito Francesco per fugare ogni dubbio sull’assise che si apre oggi in Aula Paolo VI, fino al 29 ottobre: “Non siamo qui per portare avanti una riunione parlamentare o un piano di riforme.
Il Sinodo non è un parlamento: protagonista è lo Spirito Santo.
Non siamo qui per fare parlamento, siamo qui per camminare insieme con lo sguardo di Gesù, che benedice il Padre e accoglie quanti sono affaticati e oppressi”. “Lo sguardo benedicente del Signore invita anche noi a essere una Chiesa che, con animo lieto, contempla l’azione di Dio e discerne il presente”, ha proseguito il Papa: “E che, fra le onde talvolta agitate del nostro tempo, non si perde d’animo, non cerca scappatoie ideologiche, non si barrica dietro convinzioni acquisite, non cede a soluzioni di comodo, non si lascia dettare l’agenda dal mondo”. “Questa è la sapienza spirituale della Chiesa”, ha commentato citando la “serenità” di San Giovanni XXIII, nel discorso di apertura del Concilio. “Essere una Chiesa che non affronta le sfide e i problemi di oggi con uno spirito divisivo e conflittuale ma che, al contrario, volge gli occhi a Dio che è comunione e, con stupore e umiltà, lo benedice e lo adora, riconoscendolo suo unico Signore”, il secondo invito di Francesco, che ha precisato: “Non vogliamo glorie terrene, non vogliamo farci belli agli occhi del mondo, ma raggiungerlo con la consolazione del Vangelo, per testimoniare meglio, e a tutti, l’amore infinito di Dio”. Imparare da Gesù, dal suo “sguardo ospitale verso i più deboli, i sofferenti, gli scartati”, l’altra consegna:
“Questo sguardo accogliente di Gesù invita anche noi ad essere una Chiesa ospitale, non con le porte chiuse”,
ha affermato il Papa, secondo il quale “in un tempo complesso come il nostro, emergono sfide culturali e pastorali nuove, che richiedono un atteggiamento interiore cordiale e gentile, per poterci confrontare senza paura”. “Nel dialogo sinodale, in questa bella marcia nello Spirito Santo che compiamo insieme come popolo di Dio, possiamo crescere nell’unità e nell’amicizia con il Signore per guardare alle sfide di oggi con il suo sguardo”, la certezza di fondo: “per diventare, usando una bella espressione di San Paolo VI,
una Chiesa che ‘si fa colloquio’.
Una Chiesa ‘dal giogo dolce’, che non impone pesi e che a tutti ripete: ‘Venite, affaticati e oppressi, venite, voi che avete smarrito la via o vi sentite lontani, venite, voi che avete chiuso le porte alla speranza: la Chiesa è qui per voi!’”.
“La Chiesa dalle porte aperte a tutti, tutti!”,
l’aggiunta a braccio. Al termine dell’omelia, il Papa ha messo in guardia l’intero popolo di Dio, rappresentato in piazza San Pietro, dal “cadere in
alcune tentazioni pericolose: di essere una Chiesa rigida, una dogana, che si arma contro il mondo e guarda all’indietro; di essere una Chiesa tiepida, che si arrende alle mode del mondo; di essere una Chiesa stanca, ripiegata su sé stessa”.
“Camminiamo insieme: umili, ardenti e gioiosi”, l’esortazione ai 365 membri del Sinodo: “Camminiamo sulle orme di San Francesco d’Assisi, il Santo della povertà e della pace, il ‘folle di Dio’ che ha portato nel corpo le stigmate di Gesù e, per rivestirsi di lui si è spogliato di tutto”. “Com’è difficile questa spogliazione, interiore ed esteriore, di tutti noi, anche delle istituzioni!”, l’esclamazione a braccio: “San Bonaventura racconta che, mentre pregava, il Crocifisso gli disse: ‘Va’ e ripara la mia chiesa’”. “Il Sinodo serve a ricordarci questo”, ha spiegato il Santo Padre:
“La nostra Madre Chiesa ha sempre bisogno di purificazione, di essere ‘riparata’, perché noi tutti siamo un popolo di peccatori perdonati,
sempre bisognosi di ritornare alla fonte che è Gesù e di rimetterci sulle strade dello Spirito per raggiungere tutti col suo Vangelo”. L’esempio è ancora quello di Francesco di Assisi, che “in un tempo di grandi lotte e divisioni, tra il potere temporale e quello religioso, tra la Chiesa istituzionale e le correnti eretiche, tra i cristiani e altri credenti, non criticò e non si scagliò contro nessuno, imbracciando solo le armi del Vangelo: l’umiltà e l’unità, la preghiera e la carità. Facciamo anche noi così! E se il popolo santo di Dio con i suoi pastori, da ogni parte del mondo, nutre attese, speranze e pure qualche paura sul Sinodo che iniziamo, ricordiamo ancora che esso non è un raduno politico, ma una convocazione nello Spirito; non un parlamento polarizzato, ma un luogo di grazia e di comunione”.
“Il momento di più frutto nel Sinodo sono i momenti di preghiera,
anche l’ambiente di preghiera col quale il Signore agisce in noi”, ha concluso il Papa ancora fuori testo: “Lo Spirito Santo, poi, spesso frantuma le nostre aspettative per creare qualcosa di nuovo, che supera le nostre previsioni e le nostre negatività. Apriamoci a lui, lasciamo che sia lo Spirito Santo il protagonista del Sinodo. E con lui camminiamo, nella fiducia e con gioia”.
M. Michela Nicolais / Sir